“Il questionario di Proust” sono una serie di domande volte a conoscere i gusti e le aspirazioni personali di chi vi risponde. Alla fine del XIX secolo Marcel Proust, il grande scrittore francese, si limitò a fornire le proprie risposte per iscritto alla sua amica e coetanea Antoinette Faure ad una serie di domande presenti su un album in lingua inglese intitolato “an Album to Record Thoughts, Feelings, etc.” (un album per conservare pensieri, sentimenti, eccetera). Presso le famiglie inglesi era piuttosto diffusa l'abitudine di rispondere a questionari simili, spesso nel corso di intrattenimenti sociali. L'album fu ritrovato da André Berge, uno dei figli della Faure, che nel 1924 pubblicò per la prima volta le risposte di Proust. Le domande che seguono, sono state nel corso del tempo arricchite e rese più fruibili per il mondo contemporaneo, un gioco per conoscere meglio se stessi e gli altri. Non si tratta di un test psicologico, poichè non è corredato di interpretazioni di alcun genere. Ogni mese una personalità legata al mondo dell'arte si presterà a questo gioco rispondendo ad oltre una cinquantina di domande in piena libertà a quanti più quesiti proposti. Buona lettura!
La materia si plasma nelle forme e nel colore, ne nascono immagini, si arricchiscono sensibilità ed emozioni e nelle astrazioni si ritrovano i colori e le forme che accarezzano gli occhi dello spettatore per portarlo in un mondo fatto di sogni, di immaginifiche surrealtà visive. Nella pittura pigmenti e materiali conquistano lo spazio della tela che diventa la pagina di un libro da raccontare dove le idee trovano la forza necessaria per poter essere espresse, dove i segni si trasformano in impressioni, dove i silenzi urlano nella forza espressiva e gli sguardi che vi si posano squarciano il buio attorno.
Il vigore che emerge dal colore di Silexile non è mai uguale per impeto, per forza emotiva e per intensità di esecuzione, il pennello a volte scivola, altre si frappone fra le mani e il supporto sul quale lascerà la sua cromia. I gesti che compongono questa danza coloristica sembrano cambiare senza sosta, quasi ci si trovasse davanti agli occhi un caleidoscopio che si innesta tra avvicendamenti fantasmagorici di luci, di colori e di immagini diverse che ne escono dove un solo frame raffigurato raccoglie un momento che diventa eterno.
Il materiale usato fatto di pigmenti naturali, diventa il tramite per una generazione sinestetica, per una visione che si fa sensazione tattile riuscendo a trasformare il quadro come indagine di una lacerazione che scava per arrivare all’anima, all’essenza delle cose oltre la superficie bidimensionale.
Silexile libera le forme e i colori per approdare alla riscoperta di altre conformazioni nei suoi componimenti, perché di questo si tratta, di composizioni dal ritmo quasi sonoro, liquide proiezioni che si espandono sulla tela dove si libera la materia che si plasma quasi fosse un caldo magma lavico o un consistente spaccato di marmo, silenzioso e persistente che si espande sul supporto e travalica la superficie fuoriuscendo dai limiti fisici imposti. Le cornici non diventano la finestra del quadro, bensì l’apertura verso lo spazio raffigurato, la pittura non resta confinata alla tela, ma prosegue fuori per diventare parte integrante della vita di chi guarda.
Lo stato d’animo dell’artista va oltre l’ausilio materiale che non basta più e diventa fondamentale oltrepassare lo stato di confine dei perimetri pittorici. È un recupero visivo quasi citazionistico dalle opere di artisti come Georges Seurat con le sue cornici che completano e continuano lo spazio dipinto attraverso il pointillisme, alle opere di Robert Delaunay con le sue fenêtres punto di partenza per la rappresentazione della luce e la dinamica dei colori, dove l’oggetto ha perso la sua importanza a favore della luce, principio creativo. Senza scordare nel mondo contemporaneo le “cornici invase” di Mario Schifano con il dipinto che “continua” nella cornice.
La liberazione delle forme e del colore si unisce alla materia che Silexile usa in modo armonico sulla tela per poter suscitare quante più emozioni possibili dall’attesa, alla paura, dalla solitudine al silenzio, dal sogno alla realtà. È un gioco di visioni, osservazioni fissate che vengono riproposte con maestria dall’artista per gli occhi e le anime degli spettatori, visioni immersive che non abbandonano più chi le osserva e, come affermava Jean Dubuffet, “La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L’arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l’intelligenza né con la logica delle idee.”
Massimiliano Sabbion, critico e storico d’arte
Lui è Stefano Gelao, un signore eccentrico con baffi arricciati, cappello leonardesco e l’aria di essere appena uscito da un dipinto di Caravaggio – un amanuense che predilige penne d’oca, pergamena e inchiostro ferrogallico di fattura artigianale.
Lei è Gaia Perotto, una ragazza dai capelli blu con pelle diafana e occhi del colore del cielo, che sembra essere uscita da un anime – un’artista professionista, che insegue il realismo.
Separatamente, hanno entrambi avuto i loro successi professionali. Lui dirige uno Scriptorium con esposizioni nelle maggiori fiere italiane, tiene conferenze al MENSA Italia e alle università.
Lei ha una vasta clientela, che include luminari della musica come Alice Cooper e Joe Perry, e ha dato il contributo artistico e grafico nella realizzazione di una camicia per Johnny Depp.
Gaia e Stefano si conoscono da anni, e hanno sempre seguito i progressi e successi dell’altro con reciproco interesse. Stefano, di tanto in tanto, si trovava a corteggiare professionalmente Gaia, chiedendole di collaborare con lui in dei progetti.
Tuttavia lei si è sempre negata, spaventata dall’incontro tra le tecniche moderne a lei consuete e gli strani e laboriosi materiali storici di lui.
Dopo anni, finalmente lei accetta l’invito a realizzare qualcosa insieme.
Ed è lì, nello Scriptorium di Stefano, collaborando insieme ad un progetto, che i loro occhi si incontrano al di sopra della pergamena: lui poggia la sua penna d’oca sul tavolo, lei posa la sua matita, e le loro vite s’intrecciano, sia personalmente che professionalmente.
I gusti, le inclinazioni e la sensibilità di Stefano sono piuttosto diversi da quelli di Gaia, e da ciò ne risulta un processo creativo piuttosto "vivace".
Lui è profondamente affascinato dalla storia, e si bea del fascino del passato.
Gaia, al contrario, è molto radicata nel presente: lei è attratta da cos’è bello e da ciò che funziona, senza alcuna reverenza storica. Messa di fronte ad una miniatura del tredicesimo secolo, può dichiarare con sfrontata onestà: “Può essere rifatta meglio.”
Le collaborazioni tra Stefano e Gaia si sviluppano per il momento, perlopiù all'interno dei progetti dello Scriptorium, e Gaia si è trovata proiettata in uno strano mondo per una ritrattista moderna, spinta da Stefano ad usare tecniche e materiali degli antichi manoscritti.
Per i progetti e le commissioni dello Scriptorium, le decisioni sui temi e le generiche linee guida sono solitamente a carico di Stefano.
Una volta decisi il tema e i materiali che verranno usati, i due entrano in un’altra fase fatta di lunghe discussioni, schizzi, bozze e prove colore, per rendere al meglio possibile l’impaginazione, le tecniche e gli stili calligrafici ed illustrativi decisi in precedenza.
È solo a questo punto che il vero lavoro ha inizio: Gaia si occupa degli elementi illustrativi per prima, Stefano completa il lavoro aggiungendone la calligrafia.
Per giorni lo Scriptorium è solo luce crepuscolare, musica, e penne che si muovono sopra le pergamene, con entrambi a capo chino sui loro tavoli da lavoro.
Gli occhi dell'amanuense occhi bruciano di orgoglio ad ogni nuova sfida proposta a Gaia che immancabilmente lei supera con uno sfavillante successo; lui rimane costantemente impressionato dalla versatilità della giovane artista, che si tratti di capolettera miniati, tratteggi vittoriani o disegno realistico sul vellum, cosa che li aiuta a realizzare con successo i sogni più ambiziosi.
E questo è solo l’inizio della loro storia!
Tra le peculiarità di Stefano, ci sono le pergamene stese a telaio. È una tecnica poco comune e raramente praticata, presa in prestito dai processi di lavorazione dei pergamenai. Stefano si occupa gelosamente di tutto il processo produttivo, dalla creazione dei telai alla pergamena finalmente stesa.
Il telaio è sempre fatto su misura del vellum scelto per il lavoro in questione, usando legni robusti capaci di resistere alla tensione che la pergamena eserciterà su di esso.
Lui preferisce le stesse, pregiate pelli di capretto utilizzate dalla cancelleria vaticana per i documenti più importanti.
La tecnica di stesura dipende dall’elasticità e resistenza di ogni pergamena; le pelli più spesse e resistenti possono essere stirate sia forando la pergamena che avvolgendone i lembi attorno a sassi di fiume.
Per le pelli più delicate, Stefano preferisce utilizzare la tecnica dei sassi di fiume, che rende il tiraggio sopportabile anche per le pergamene più sottili.
I sassi di fiume vengono preferiti ad altri tipi di roccia perché sono generalmente più tondi e pertanto compatibili con le tecniche di stesura a telaio.
Dopo che la pelle e la tecnica di stesura sono state scelte, il vellum viene immerso in acqua e poi messo sul telaio. Le corde, passate nei fori o legate attorno ai sassi, sono avvolte attorno al telaio e tirate, stendendo il vellum il più possibile. Quando la pergamena è asciutta e il tiraggio completo, le corde vengono lasciate attorno al telaio, o più spesso fermate sul telaio con spessi chiodi in modo da poterne poi tagliare l’eccesso.
Ora la pergamena stirata è pronta per essere trattata con la pietra pomice. Solo a questo punto Stefano reputa il vellum per essere scritto e decorato.